Anche l’occhio vuole la sua parte

“Mangiare con gli occhi” è una sinestesia che appartiene a molti aspetti della quotidianità: certo, quando si parla di cibo è perfetta!

Cucinare qualsiasi pietanza con ingredienti buoni è di per sé un vantaggio, e anche rendere un piatto bello è più facile. Questo capita solo se si conosce quello che si sta cucinando, se lo si rispetta e si valorizza al massimo la materia prima.

Quando ci sediamo a tavola (sia a casa o al ristorante) prima di degustare la pietanza la guardiamo e allo stesso tempo la “ascoltiamo” (sarebbe d’uopo il termine feel inglese, che non trova facile corrispondenza in italiano), ne percepiamo il profumo. Il primo occhio di riguardo (è il caso di dirlo!) nella presentazione di un piatto, va dunque all’ impiattamento.

Prima di comporre il piatto bisogna farsi alcune domande fondamentali per non cadere in errore: il protagonista della ricetta chi è? E dove deve stare? Quali sono i contorni o la salsa d’accompagnamento, in che quantità e dove vanno posizionati?

E soprattutto: sto cucinando un risotto, una vellutata, un arrosto o un dolce? Perché ad ogni pietanza va associata la sua stoviglia: un piatto piano o fondo, una ciotola, una posata e un bicchiere adatti …

Il passo successivo è concentrarsi sulla forma del piatto: piccolo, grande, con o senza la cornice, squadrato o tondeggiante; si può giocare anche sul contrasto o sull’armonia delle forme o dei colori. Si può osare o rimanere sullo stile classico.

Il piatto è come la tela di un pittore, dove il cibo è il soggetto da esaltare e l’abilità d’artista è quella che tocca tutti i sensi.

Gli ingredienti devono convivere e rimanere in equilibrio; il piatto, come la tela, non va riempito troppo perché i vuoti pittorici sono importanti, come i silenzi nella musica.

L’accostamento cromatico va scelto in base a quello che il piatto vuole significare; a volte basta un tocco di colore nel punto giusto.

Spezie, erbe e – immancabile! – olio crudo, rigorosamente extra vergine con le sue venature dorate, sono le rifiniture per definire la personalità del piatto nel gusto e nell’aspetto.

Tornando alla tipologia di stoviglia, anche in questo caso il colpo d’occhio non è da sottovalutare.

Uno chef non può esimersi dalla teoria dei colori: se normalmente abbiamo porcellane bianche potremmo avere a disposizione ardesie dal colore scuro, o piatti di materiali dai riflessi cangianti, colorati oppure bellissime ceramiche decorate, magari anche in base alle più diverse icone tradizionali o di design.

E il lavoro allora è ancor più difficile: far stare in equilibrio la bellezza del cibo e l’originalità della stoviglia non è certo semplice!

Il protagonista può essere impiattato centralmente o decentrato oppure si può decidere di creare addirittura un percorso e isolarlo in un’area circoscritta del desco.

Come nel disegno, inoltre, comandano simmetrie e diagonali. E pensare che tutto, in pochi minuti, viene poi ridotto a pezzi e (si spera!) gustato … senza pietà!

Come in ogni arte che si rispetti, l’esperienza e gli attrezzi del mestiere fanno la differenza: timer e pinze alla mano, grande allenamento nella vera palestra di casa: la cucina.

Via le sbavature, un’ultima occhiata e «chi è di scena»!