La zucca: tradizioni e proprietà

La zucca, oltre che essere una prelibata pietanza che d’autunno colora i piatti di tutto il mondo (è infatti un vegetale molto diffuso e comune in Europa e nelle zone temperate d’America), è il simbolo di una festa che ha invaso ovunque il pianeta e che fa spesso discutere (almeno in Italia).

Un lume per gli spiriti
Il nome Halloween deriva da All Hallows Evening (Vigilia di Ognissanti, proprio come nel nostro Paese). Le sue origini derivano da antichi riti pagani dei Celti che celebravano la fine dei raccolti agricoli e lo sfogo della natura, prima del serrato inverno. La tradizione voleva che proprio in quella notte i grandi e valorosi uomini scendessero in terra dall’Aldilà, in un unico straniante mondo condiviso. Le grandi zucche arancioni (e altri ortaggi cavi) divennero così dei lumi spaventosi, con occhi e bocca diabolici, che segnavano la strada per le anime dei redivivi.
Dalla Scozia e l’Irlanda la festa emigrò in America, dove fu resa appannaggio dei bambini e dagli anni Novanta è usuale anche in Italia: sono sempre di più i ragazzi (più o meno grandi) che, oltre ad intagliare le zucche, si travestono e ammantano di paurose atmosfere la notte del 31 ottobre.

C’è zucca e zucca!
In verità la zucca di Halloween (come ormai tutti sanno) finisce sulla tavola solo come lampada, o lavorata come si preferisce, poiché è ornamentale e non edibile. Ma le varietà di zucche sono tantissime, e tutte hanno comuni e benefiche proprietà: a fronte di un apporto calorico basso, possiedono importanti nutrienti come gli antiossidanti e le vitamine (A, B, C ed E) e sono ricchissime di minerali e di fibre.

Un vegetale «anti-spreco»
Se il suo cuore è la polpa (che può essere più o meno pastosa, avere diversi gradi di dolcezza e per questo essere al centro di infinite ricette dall’antipasto al dolce), è anche vero che la buccia, i semi e i filamenti interni della zucca non sono da scartare.
La buccia, una volta ben lessata e frullata, può diventare un accompagnamento per condire, oppure essere aggiunta alla minestra o ancora diventare il principale ingrediente dei muffin alla zucca.
I semi possono essere tostati e salati, oppure seccati e ancora essiccati: in ogni caso sono un vero condensato di sapore e di vitamine e minerali.
Perfino i filamenti interni, con un po’ di pazienza e un’oretta di forno, possono essere utili e gradevoli al gusto (anch’essi molto dolci), se usati per rifinire con eleganza un piatto.

A ognuno la sua zucca, e il divertimento (in cucina o tra i fantasmi) è garantito!

20 novembre: giornata dell’infanzia e dell’adolescenza.

A mangiare bene ci si abitua da piccoli!

Il 20 novembre 2019 si celebra – per il trentesimo anno – la giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: nel 1989, infatti, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la convenzione ONU per il rispetto di quei diritti

Oggi anche Carapelli vuole ricordare questo importante anniversario, e lo fa con i migliori strumenti a sua disposizione: difendendo l’importanza di una dieta sana sin dalla prima infanzia e portando l’attenzione sull’equilibrio alimentare e sulle scelte delle pietanze da consumare sin da piccoli. Perché la libertà passa prima di tutto attraverso la salute. E anche l’abitudine al gusto ne fa parte.

Frutta e verdura

La dieta mediterranea, che tanto volentieri celebriamo ogni volta ci è possibile, è una nostra alleata, anche con i più piccoli.
A cominciare dalla frutta e la verdura, che sono fondamentali sin dal primo svezzamento; abituare i bambini a farle proprie anche negli spuntini e nelle merende (oltre che nei pasti principali) è fondamentale perché familiarizzino con il loro gusto e consistenza e perché esse entrino a far parte delle abitudini giornaliere. Se poi si riesce anche a condividere con i ragazzi la stagionalità, ancora meglio: guardare insieme gli alberi da frutto o gli orti, per comprendere il perché una ciliegia non va consumata in dicembre o perché invece il cavolo è raro d’estate può essere uno strumento interessante perché anche i più giovani si sentano partecipi del fluire della natura e apprezzino maggiormente la frutta e la verdura nelle stagioni giuste, ove possibile. E avranno comunque uno sguardo diverso nei confronti dell’ambiente che li circonda.

Proteine e carboidrati

Le proteine che sin dal primo svezzamento si propongono ai bambini sono in gran parte quelle dei vegetali e del pesce, in quanto più facilmente assimilabili e più sane. Le proteine della carne rimangono un valido contributo nutritivo se proposte non più di due o tre volte alla settimana.

I carboidrati complessi – le farine integrali oppure il riso, l’orzo, il farro e i cereali – sono preferibili (come per gli adulti) alle farine bianche: anche in questo caso sono l’abitudine e la naturalezza le vere padrone, perché i bambini mangiano quanto trovano a tavola e (soprattutto!) si adeguano alle abitudini alimentari della famiglia. Non facciamo sparire, dunque, la pasta integrale e i cereali dai nostri piatti: a noi farà bene e per i nostri ragazzi diventerà una consuetudine.

Il nostro gioiello: l’olio extravergine di oliva

Non possiamo che terminare con il nostro migliore consiglio, quell’oro verde sul quale stiamo investendo anni di esperienza e ricerche: sempre, comunque e dovunque sia possibile – dai pasti principali alle merende – l’olio extravergine di oliva è un alleato prezioso e molto gradito ai bambini.
Per i primi piatti, così come per carne, pesce e contorni lo diamo per imprescindibile: sappiamo come esso valorizzi e amplifichi l’assimilazione di molte vitamine e come possa arrotondare e rendere più profumato il sapore di tutte le pietanze che accompagna. Anche nei dolci è un valido sostituto del burro sempre più apprezzato, e – grazie alle sue tante e differenti qualità – consente anche profumi e nuances diverse che possono rendere i nostri dolci ancora più personali.

Il Natale di Carapelli: un pranzo in bellezza

Ci siamo quasi, Natale è davvero alle porte e ci stiamo preparando ad accogliere famigliari e amici intorno alla tavola, che in Italia è il luogo più sacro della condivisione: degli affetti, in primis.

Lo spirito artistico, la bellezza, l’attenzione ai dettagli fanno parte della mission di Carapelli sin dalle sue origini e oggi la nostra casa olearia è sempre più attenta ai suoi prodotti, alla loro completezza, al ruolo dell’olio d’oliva come portatore di gusto e nutrimento uniti al benessere, valori sempre più centrali, nella cucina degli italiani.

Scorriamo alcune possibili idee, non tanto per voler ostentare nuove ricette, quanto per accompagnare l’attesa del Santo Natale nel nome dell’eleganza, della bellezza, del profondo significato del «gusto» nel senso più ampio del termine: in … «tutti i sensi»!

Scegliamo le cose semplici e il pesce, per il nostro pranzo natalizio ideale … perché la semplicità a tavola valorizza il gusto e perché il pesce ha proprietà nutrizionali di grande qualità.

Per l’antipasto, la grande tavolata di Carapelli accoglie le semplicissime (e sempre squisite) tartine al salmone, che con un extra vergine fruttato medio sono perfette: esso esalta le caratteristiche forti del pesce in modo morbido e leggero, va ad abbracciare il pane e lascia libero di esprimersi il gusto del salmone.

Un altro classico come primo piatto: gli spaghetti alle vongole (che in alternativa si possono accostare alle cozze o arricchire anche con calamari e cozze, per i più golosi).

La ricetta è quella basilare, in bianco e con aglio e prezzemolo: quando il pesce è fresco e l’extra vergine è Carapelli il risultato è sicuro.

Dentro o accanto al piatto delle tartine e della pasta, proponiamo di accostare un piccolo addobbo o un segnaposto natalizio composto con l’aneto, che completa il gusto della tartina con il suo profumo (o sminuzzandone qualche piccola foglia sul pane) e arricchisce – unitamente al prezzemolo – il gusto dei frutti del mare negli spaghetti.

Non può mancare sul nostro tavolo, per la seconda portata, una bella porzione di baccalà, che in tutte le sue forme è protagonista del Natale ovunque: mantecato, lesso, in umido o «arracanato» (alla molisana, con pane raffermo, limone, uvetta, origano e pan grattato), o ancora affiancato, nelle frittelle, a pomodoro, origano e gamberi o alici.

Una piccola ghirlanda ferma tovagliolo o un addobbo di alloro e rosmarino, con incastonate piccole gemme di zenzero (rigorosamente a portata di … sbriciolamento sul piatto!), completano a meraviglia il gusto e il profumo (e anche l’occhio!) di questa prelibata pietanza.

A chi gradisse invece gusti più morbidi, consigliamo la tagliata di tonno – bagnata con un extra vergine dal gusto molto deciso – da accompagnare con i semi di sesamo, che del pesce valorizzano le sfumature leggermente amare.

Per chiudere il pasto con semplicità e naturalezza, proponiamo i classici biscotti all’olio d’oliva: un vero appagamento per gli amanti dell’oro verde! La sfida più divertente è trovare il tipo di extra vergine che più ci piace e sostituirlo al burro per restituire dei frollini «speciali»: la pastosità sarà diversa, il nutrimento di qualità molto migliore, così come la digeribilità e ognuno potrà scegliersi il fruttato (o il grado di dolcezza) che preferisce.
Accanto ai biscotti suggeriamo piccole confezioni di fiori d’anice stellato e stecche di cannella; e in chiusura le immancabili bollicine dolci per festeggiare a dovere uno dei giorni più belli dell’anno!

Vacanze brevi e lussuose, è il trend 2019

È partito il conto alla rovescia per le vacanze, quelle lunghe, di luglio oppure agosto. Intanto, chi è in città, per ricaricarsi ricorre sempre di più ai week end di lusso. Solo 48 ore possono bastare, se si è coccolati, per ritrovare energia vitale e tornare alla routine quotidiana. I sondaggi del 2019 mostrano che è in crescita il trend delle vacanze brevi e lussuose.

In queste vacanze lampo e luxury, gioca un ruolo di primo piano la scelta di una SPA in una location da sogno, di quelle dove ci si può sentire – anche solo per poche ore -come una star del cinema. Il sogno rimane l’hotel cinque stelle, con piscine meravigliose e, a tavola, solo il meglio, con piatti detox perché semplici e leggeri, in cui non può mancare il prezioso olio extra vergine di oliva a crudo.

Altri desideri per coccolarsi?
In cima alla lista, ci sono due richieste: l’autista e il personal shopper. Perché?

Secondo i sociologi la scelta di affidarsi ad una guida, alle attenzioni di un trainer e di chi ci porta a fare shopping aumenta il piacere di riscoprire la cura di sé stessi. Relax e distacco dai ritmi, a volte frenetici, della vita quotidiana portano alla distrazione della mente ed al riequilibrio del corpo: è così che nuova energia ritorna in circolo, e ci resta a lungo.

Infine, i dati evidenziano come tra le esperienze che noi italiani prenotiamo di più on line si trovano i tour di cibo e vino, accompagnati dalla vita notturna.

Ma le vacanze sono da intendersi per tutta la famiglia o come momento di fuga personale?

A quanto pare, per le fughe dalla routine di 48 ore, noi italiani siamo più inclini a lasciare i pargoli con i nonni.

Infatti, per le prenotazioni on line di destinazioni con le cosiddette attività kids-friendly, l’Italia si piazza al quinto posto dopo Francia, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna. Un segnale che suggerisce come, per la luna di miele del week end, noi preferiamo lasciare i piccoli a casa per poi avere la gioia dopo poche ore di riabbracciarli.

L’olio si fa arte: gli ulivi di Van Gogh

Si è da poco concluso con gran successo la prima edizione di Carapelli 4 Art: le riflessioni scaturite da questa bellissima esperienza sono una vera conferma. Per la nostra Casa Olearia, assume sempre più importanza la ricerca, la bellezza, la qualità.

Esse sono parte integrante di tutti i progetti di Carapelli; anche qui – dove di olio e dintorni si parla senza troppi vincoli – ci piace trasmettere la nostra mission attraverso l’arte: non più contemporanea, come nel concorso Carapelli 4 Art, ma relativa a un passato non troppo lontano.

L’ulivo (e con esso l’olio) è da sempre iconografia simbolica di grande forza emotiva, simbolo di pace e di gloria, rappresentato da sempre nelle opere pittoriche (ma non solo) della cultura occidentale; ed é già protagonista dell’antica mitologia greca e romana, fino a tutto il Novecento.

A noi piace ricordare e menzionare un autore in particolare, del quale abbracciamo la passione totalizzante per la propria espressione, la continua ricerca di rinnovarsi e la volontà di spingersi sempre oltre i confini.

Si tratta del grande Vincent Van Gogh, che sin dalla giovinezza si rapporta con la natura, nel suo senso più complesso, e ritraendola, vi imprime infiniti significati.

Negli anni Sessanta dell’Ottocento, l’artista olandese dipinge una serie di opere nelle quali le colline coperte da grandi distese d’ulivi fanno da protagoniste, probabilmente si tratta di quelle che egli vedeva all’esterno della struttura nella quale aveva chiesto il ricovero per un periodo di gravi difficoltà emotive e nervose.

Lasciamo il lavoro dei critici, dei tecnici, dei biografi a chi ben meglio di noi lo sa fare, e limitiamoci, non senza commozione, ad evocare quali e quante differenti interpretazioni della «nostra» pianta sacra siano state possibili da un unico artista.

Alcune distese si stagliano tra il grigio verde e l’azzurro blu, risaltando quei colori freddi e perlati che all’ulivo affidano un aspetto di autorevolezza, di rigore, di sacralità di cui si avvolge dalle più antiche tradizioni d’occidente. In altri dipinti l’ulivo è abbracciato dai colori caldi del cielo assolato, e al centro di spontanee e morbide scene di raccolta.

L’ulivo è anche per Van Gogh un simbolo, ideale e reale, che ha sempre fatto parte della vita quotidiana delle persone. Allora come oggi l’ulivo, dalla raccolta alla tavola, simboleggia il nutrimento, la vita, la condivisione.

Con questa visione duplice dell’inquieto Van Gogh lanciamo uno spunto, e abbracciamo insieme a chi ci legge il nostro amore per la bellezza, il nostro incessante studio, la profonda convinzione che con la passione, la competenza e la ricerca della qualità ogni creazione può essere davvero un capolavoro.

L’Italia dello spettacolo in cucina. L’olio è come sempre il principe

Negli ultimi dieci anni spopola in Italia (come nel resto del mondo) la food mania, un’attenzione quasi sacra nei confronti della cucina, delle sue declinazioni, delle mille mila possibilità che i fornelli forniscono a chiunque per divenire (o almeno provarci!) un vero artista del cibo.

Veicolo principale e massivo di questa nuova immagine del food e dell’arte culinaria è – come sempre – la televisione, che propone decine di format (più o meno internazionali) dedicati alla passione della cucina.

Già nel 2014 una esaustiva pubblicazione di Franco Angeli raccontava come e quanto fosse consolidata la programmazione italiana dedicata al cibo: da allora le proposte sono ancora in crescita e sempre più diversificate.

Tra i tanti, gli appuntamenti con maggiori ascolti sono quelli che più tendono alla spettacolarizzazione dell’atto culinario. Da Masterchef (in Italia alla sua ottava edizione) che ha fatto scuola nei modi e nei contenuti, a Topchef (format d’élite, perché dedicato ai cuochi in carriera) fino al settoriale Bake Off, format internazionale dedicato all’alta pasticceria.

Se i talent (di questo si tratta) sviluppano il loro storytelling sulla competizione, anche altre proposte televisive impazzano: dalle serie tv, alle trasmissioni dedicate al pubblico femminile, dai programmi che valorizzano il turismo enogastronomico, fino ad interi canali dedicati soltanto alle più varie trasmissioni di cucina.

Un’attenzione, dunque, che mette al centro tutta la catena produttiva del food e che non può che affinare palati, gusti e conoscenze delle persone, oltre che scatenare una passione con delle strategie che appaiono comunque più sane ed autentiche di molte altre.

Come tutte le mode, però, anche questa ha i suoi paradossi e rischia di segregare una disciplina complessa e molto articolata a una visione superficiale e di costume, più che a un vero amore per il cibo sano e per la cucina ben concepita.

Per quanto riguarda noi, che di passione e «talento» oleario facciamo un punto di forza, siamo ben orgogliosi di notare come l’olio extravergine di oliva sia sempre e comunque uno dei principali attori di tutti i format e delle proposte dedicate al food in Italia: una conferma che – come pochi altri ingredienti – l’olio è simbolo di gusto, di buona cucina, di passione e di nobile nutrimento.

Street Food made in Italy: sano, gustoso e fedele alla tradizione.

Per lungo tempo snobbato e guardato con sospetto dai palati esigenti e raffinati degli italiani, lo street food, il cosiddetto “cibo da strada” che ha spopolato in tutto il mondo, è riuscito ad imporsi anche nel nostro stivale, patria indiscussa della cucina mediterranea. Lo ha fatto nei modi più originali e sorprendenti.

La storia dello street food risale a tempi lontanissimi, addirittura all’epoca dell’Antica Roma, con l’obiettivo di soddisfare le esigenze degli antichi viaggiatori e dei mercanti, che gustavano i propri pasti in piedi, direttamente sulla strada.

Questa usanza la ritroviamo in Italia e in tutta Europa anche nei secoli a venire, dal famoso “fish and chips” di origine britannica, alle “tapas” spagnole, ai “pâstés” francesi.

Poiché nasce come cibo povero, fatto di ingredienti semplici ed economici, il cibo da strada è stato, spesso, vittima di un marcato scetticismo da parte del pubblico italiano, che lo ha spesso associato al “cibo spazzatura” (junk food) statunitense.

Tuttavia, in tempi più recenti, lo street food ha subìto una notevole evoluzione, tanto da attirare l’interesse di chef stellati e divenire protagonista di numerosissimi festival gastronomici nazionali e internazionali.

Ad oggi, in Italia, ce n’è per tutti i gusti. Ogni regione ha saputo interpretare a suo modo i principi dello street food, sfornando una miriade di piatti e ricette fedeli alla tradizione: dalla “miassa” piemontese (delle croccanti piadine fatte con la farina di mais), agli arancini siciliani (fritti, rigorosamente, con olio Made in Italy), dalla focaccia genovese, al panino con il lampredotto tipico toscano, e, ancora, dai “folpetti” padovani (moscardini bolliti e serviti in salsa verde), alla pizza a portafoglio servita per i vicoli di Napoli.

Non mancano, poi, ulteriori rivisitazioni e contaminazioni, come il “trapizzino”, la pizza-tramezzino inventata dallo chef romano Stefano Callegari, o “itamaki”, un cono di pasta annerita con il nero di seppia e farcita con vari ingredienti, che fonde elementi della cucina giapponese e italiana.

Il connubio tra tradizione e innovazione ha, quindi, permesso allo street food di affermarsi con successo in Italia, fino a divenire simbolo della cultura gastronomica del Paese. Il cibo da strada, fatto con ingredienti nostrani, naturali e prelibati, rispecchia l’identità del territorio e ha saputo rilanciare la tradizione culinaria italiana.

Curiosità

Mezzo indispensabile per chi realizza prelibatezze da strada è il food truck, la caratteristica cucina itinerante su ruote. Si tratta di furgoncini, ape-car o moderne strutture che ospitano al proprio interno tutti gli strumenti necessari per comporre i propri piatti.

Questi chioschetti dai colori sgargianti e accattivanti e dalle fantasie più originali e un po’ retrò sono ormai diventati dei veri e propri gioiellini di design: ne è un esempio il chiosco mobile realizzato dal designer Mirko Gabellini (e ispirato ai paddock mobili per la Formula 1) per lo chef stellato Mauro Uliassi, che da tempo promuove la filosofia dello street food di qualità.

La ricetta

A riprova che qualità e semplicità pagano sempre, la bruschetta alla romana si conferma uno dei classici intramontabili dello street food made in Italy. Antipasto sano e golosissimo, la bruschetta è protagonista assoluta di ogni aperitivo che si rispetti.

Per realizzarla, bastano poche e semplici dritte: innanzitutto, scegliete un pane casereccio (va bene anche se vecchio di qualche giorno); tagliatelo a fette, non troppo sottili, e abbrustolitelo in padella.

Quando le fette sono croccanti al punto giusto, strofinatele generosamente con uno spicchio d’aglio e aggiungete i pomodorini tagliati a pezzetti (eventualmente scottati in padella con un po’ di olio e sale).

A questo punto, non resta che passare al condimento, che certamente non può mancare: abbondate pure con sale e olio extravergine d’oliva, ingrediente fondamentale per rendere ogni morso irresistibile. Arricchite, infine, con qualche foglia di basilico.

Il risultato è garantito e non potrete più farne a meno!

Cinema e cibo: il connubio italiano

Il rapporto tra cucina e cinema dà vita ad un universo davvero sterminato: libri, racconti, saggi, articoli, interviste e addirittura interi festival si sono spesi per mettere in relazione le due «arti» che più di tutte le altre sono popolari e vicine alla quotidianità degli italiani.

Sono davvero centinaia, nel nostro Paese, i film – tra essi alcune pietre miliari – nei quali le scene più significative si contestualizzano a tavola, nelle cucine, attorno alle pietanze più diverse.

Ci piace proporre qui,senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni esempi di commedie italiane che raccontano come, nella storia del cinema, il cibo abbia assunto via via significati storicamente e culturalmente diversi, cambiando il suo immaginario assecondando il mutamento delle condizioni sociali.

Cominciamo dagli anni Cinquanta, ricordando Un americano a Roma (1954, regia di Steno), che restituisce con grande efficacia e spassosa ironia quanto il cibo nell’epoca del dopoguerra fosse a tutti gli effetti uno dei più importanti «status symbol», inteso come rivalsa e identificazione sociale.

Chi non ricorda il giovane Alberto Sordi con il cappello dal frontino all’americana che sfida il piatto di pasta evocando «Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo, maccarone. Io me te magno!»?

Negli anni Settanta l’iconografia del cibo comincia a modificare la sua fisionomia: ne “La Grande Abbuffata” (1973) di Marco Ferreri – un cult dagli indimenticabili protagonisti – Noiret, Mastroianni, Tognazzi e Piccoli decidono di abbuffarsi fino alla morte per sfuggire ai loro problemi esistenziali: ma di una morte d’alto rango, con ricette prelibate e vini costosissimi.

Il focus, dunque, si sposta sull’individuo e il cibo diventa sfogo emotivo, compensatorio, psicologico, pur non venendo meno al proprio passaporto sociale.

Surreale e totalmente psicanalitico, invece, è il rapporto che il cibo assume nella filmografia di Nanni Moretti, autore provocatorio che ha addirittura intitolato la propria casa di produzione cinematografica ad una torta, la «Sacher Film»! La scena, ormai entrata nel mito, è quella dal film «Bianca» del 1983, dove lo stesso giovane Moretti, completamente svestito in cucina, intinge il cucchiaio in un barattolo di nutella gigantesco oltre all’altezza d’uomo.

Da questo ed altri episodi si comprende come, nella poetica del regista e attore romano, i dolci in particolare (e più in generale il cibo) siano una sorta di strumento di analisi interiore, un corpo da dare alle proprie ossessioni, un simbolo – tra il sarcasmo e il paradosso – dell’essenza della vita.

Questo excursus ci rammenta come a tutt’oggi chi lavora, produce e si rapporta al mondo del food non possa prescindere dal suo significato simbolico. Il cinema rappresenta sicuramente uno degli specchi più sinceri di esso e non è un caso che proprio la settima arte sia la più importante «antenata» della pubblicità. Oggi, sempre di più, il food e l’atto del mangiare rappresentano insieme lo status sociale del consumatore, ma anche – e più diffusamente – uno stile di vita: «Dimmi come mangi, e ti dirò chi sei».

Il cibo nella letteratura: un mondo di significati

Le associazioni tra cibo e letteratura hanno generato davvero un numero infinito di operazioni: sono stati scritti molti saggi, sono stati analizzati i testi di poeti e romanzieri antichi e moderni, per dare un nome e un significato alla simbologia del cibo nelle loro parole.

Non vogliamo qui certamente approfondire un così ampio e complesso campo di riflessione, ma ci piace «lanciare» un primo sassolino prendendo in prestito le parole citate da alcuni docenti universitari nel corso di un dibattito televisivo di qualche anno or sono: “Il cibo e la cucina sono delle grandi metafore dell’esistenza, quindi si prestano particolarmente bene a essere incluse in una narrazione dell’esistenza, a rappresentarla in qualche modo” afferma il professor Massimo Montanari, docente di Scienze dell’Alimentazione dell’Università di Bologna.
Una visione così essenziale, così scarna eppure così completa ci colpisce perché si accosta in modo molto empatico al nostro vissuto e al nostro modo di concepire l’intera filiera dell’olio, alimento primario per eccellenza, e le sue declinazioni.

Sin dalla sacre scritture, per poi arrivare alla Divina Commedia e a risalire la storia tutta della letteratura italiana, il cibo ha negli scritti un valore simbolico sempre diverso e una grande valenza emotiva: dal frutto primigenio delle Sacre Scritture ai formaggi della grotta di Polifemo nell’Odissea; dalla simbologia boccaccesca, fino alla carestia dei Promessi Sposi, sempre la letteratura e la poesia italiane hanno incastonato il cibo al centro di ragionamenti ben più complessi di un semplice ingrediente quotidiano.

Approfondiamo in questa sede alcuni esempi, scelti tra migliaia, dell’amplissima letteratura del secolo scorso, cercandone volutamente alcuni dei meno citati abitualmente: ci piacciono per la loro profondità e per la valenza metaforica particolarmente significativa.

Così, nel 1912, scrive Grazia Deledda in «Chiaroscuro» accostando ineluttabilmente il cibo a un significato di rivalsa e di coesione sociale: Per la festa di Sant’Anastasio le famiglie anche le meno abbienti del villaggio, anche quelle che eran cariche di debiti o che avevano i figli agli studi, apparecchiavano la tavola, vi mettevan su mucchi di focacce, taglieri colmi di carne arrostita allo spiedo, formaggio, giuncata, vino e miele e aprivan la porta a chi voleva entrare a banchettare. Gli ospiti venuti dai paesi vicini, i poveri e i monelli del villaggio accorrevan come mosche: […]. Intere giovenche e colonne di focacce venivano distribuite a porzioni eguali […] agli ospiti e ai poveri che così portavano a casa, ai vecchi invalidi, agli infermi, alle donne vergognose, la cena e anche il pranzo per l’indomani.

Diversa è invece l’interpretazione nel Gattopardo, in cui l’opulenza connota la classe nobile e la differenzia dalle altre classi sociali. Dalle parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa emerge che non solo il sapore dei cibi ha la sua importanza, ma anche il loro aspetto e la loro presentazione: il cibo diventa un’esperienza estetica non solo per il gusto. “L’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.

Il carattere fortemente straniante ed allegorico, estremamente concentrato sugli aspetti linguistici e semantici della parola, è tipico della narrazione di Italo Calvino ed emerge tutto in questo stralcio di «Palomar», uno dei lavori più tardi (anni Novanta) e complessi dell’autore: «Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma. Questo negozio è un dizionario; la lingua è il sistema dei formaggi nel suo insieme: una lingua la cui morfologia registra declinazioni e coniugazioni in innumerevoli varianti, e il cui lessico presenta una ricchezza inesauribile di sinonimi, usi idiomatici, connotazioni e sfumature di significato, come tutte le lingue nutrite dall’apporto di cento dialetti. È una lingua fatta di cose; la nomenclatura ne è solo un aspetto esteriore, strumentale; ma per il signor Palomar impararsi un po’ di nomenclatura resta sempre la prima misura da prendere se vuole fermare un momento le cose che scorrono davanti ai suoi occhi.”

Concludiamo con una scrittura «parlante», quella di Camilleri che ne «Il campo del vasaio» (2008) racconta con le sonorità del suo stretto dialetto le portate di una cena (rigorosamente di pesce) in Sicilia: qui pare davvero di assaporarlo e toccarlo, quel cibo, e di vivere dentro il paesaggio isolano con i suoi colori, gli odori e l’aria profumata …
Arrivarono al ristorante “Peppucciu ’u piscaturi”, sulla strata per Fiacca, che erano squasi le deci. Il commissario aveva prenotato un tavolo pirchì quel locale era sempre chino di genti. […] Menu: antipasto di mare (anciovi fatte còciri nel suco di limone e condite con oglio, sali, pepe e prezzemolo; anciovi “sciavurusi” al seme di finocchio; ’nsalata di purpi; fragaglia fritta); primo piatto: spaghetti alla salsa corallina; secondo piatto: aragusta alla marinara (cotta sulla braci viva, condita con oglio, sali e tanticchia di prezzemolo). Si scolaro tri buttiglie di un vino bianco tradimintoso: pariva infatti calare come acqua frisca, ma doppo, ’na volta ch’era dintra, partiva ’n quarta e addrumava il foco.”

I supereroi del food

Da alcuni anni si sente parlare (in modo più o meno appropriato) di «superfood», accreditando con quest’etichetta quegli alimenti che si pensa dispongano di proprietà nutritive fuori dall’ordinario e siano particolarmente ricchi di proprietà benefiche.

L’epiteto di «super» è stato recentemente messo da parte, a causa delle scarse evidenze scientifiche a sostegno dei reali «superpoteri» degli alimenti presi in causa: eppure rimangono davvero tantissimi i concentrati di benessere che la natura mette a disposizione sulle tavole di tutto il mondo.

Dalle bacche di Goji e di Açai ai semi di Chia, dall’avocado alle alghe commestibili, dalla curcuma allo zenzero: di queste esotiche pietanze si decantano (in molti casi giustamente) i pregi e i benefici.

A noi piace però guardare ai loro fratelli europei, se non addirittura italiani: perché non serve certo arrivare al lontano Oriente o all’Africa per trovare dei supereroi del food che già in piccolissime porzioni somiglino quasi a delle … pozioni magiche!

Il primo da citare, naturalmente, è proprio l’olio d’oliva, i cui benefici ormai ben conosciamo. Tra i tantissimi altri, si sfruttano da secoli i «superpoteri» dei mirtilli (frutti dei boschi del Nord Italia): i flavonoidi contenuti in altissima concentrazione rallentano il processo di invecchiamento delle cellule e diminuiscono i radicali liberi … e per averli non serve scomodare lontane piantagioni asiatiche! O ancora il cavolfiore, la verza, i broccoli, il cavolo riccio regalano al corpo sali minerali e vitamine in grande densità, sono pieni di Omega 3 e depurano l’organismo dalle tossine.

E poi: il melograno è un potentissimo antiossidante, i semi della zucca aiutano cuore e muscoli, i fagioli rossi sono una vera «bomba» di proteine, ferro, potassio, magnesio e vitamina B3, gli spinaci spremuti e bevuti sono un’ottima difesa per il sistema immunitario.

Insomma, a voler approfondire potremmo stilare una lista quasi infinita, senza bisogno di allontanarci dai frutti della terra del nostro continente, per poter godere dei migliori condensati di benessere.

E al di là delle mode temporanee e delle fascinazioni dell’insolito, continuiamo a credere e a fidarci dei poteri «magici» dei frutti delle prodighe terre a noi vicine.